“Presero dunque Gesù, il quale, portando lui stesso la croce, si diresse verso il luogo detto del cranio…”.
(Gv 19,17)
Un tronco da portare può non essere nulla per un carpentiere robusto e trentenne, ma, quel legno è un patibolo, quelle spalle sono piagate, quell’uomo è sfinito dall’angoscia, da una tristezza mortale. E quel legno è di più. È la goccia che spreme sangue dal cuore e lacrime dagli occhi infuocati. E l’andare della carne ferita è pesante, incerto, doloroso, segnato da urti, da avvilenti cadute.
C’è spettacolo intorno.
Sono morti gli osanna di ieri; è solo un vociare confuso di pietà e di disprezzo. Solo il cuore corre veloce sulla vetta del cranio, ma la carne pesante trova inciampi dovunque, cede, schianta, stramazza. E più alte si fanno le grida, le bestemmie, gli insulti: più pesante si fa quella croce…
Quel mare in tempesta, che ha mangiato pane sacro, non sa leggere l’offerta di un dono più grande fatto di debolezza, di lamenti, di cadute. È sazio di pane e di gioco, ha occhi ma non vede che non “c’è dolore uguale a quello”, “non c’è amore uguale a quello”.
Quella trave che passa è la sintesi di tutte le cecità o “il segno” che anche la debolezza è un valore, che anche la caduta può diventare amore, che anche un patibolo può essere fregio di gloria.
Bisogna avere il coraggio di “prenderlo” non sopportarlo, “amarlo” non odiarlo, “ricaricarlo” in spalla ogni volta che la debolezza cede… fino alla vetta.
O croce santa del mio Gesù! Tu sei il libro aperto della mia debolezza, su di te è scritta fibra per fibra la mia storia: dal seme all’arbusto, al tronco abbattuto, tagliato, reso patibolo.
Quante mani ti hanno sfiorato, sfrondato, carezzato, offeso…
Ora sei “Vessillo del Re”. Su te è stata inchiodata la morte, su te è stato versato il prezzo del riscatto. La tua storia è redenta. E quando verrà il Figlio dell’uomo, tu splenderai di luce e tutto in te sarà giudicato.
Ave, mia unica speranza. Abbracciandoti raccolgo ogni fibra del mio essere, della mia storia, tutte le gioie che l’hanno resa fiorita nei giorni di primavera, gli aculei pungenti dei freddi inverni, i colpi d’ascia delle demolizioni devastatrici.
Tutto è grazia quando l’amore ti coinvolge nella sua storia. Tutto ha un senso se si ha il coraggio di attendere l’epilogo…
Voglio portarti passo passo fino alla vetta, sapendo che tu sarai dolore, caduta, angoscia, peso, ostacolo, disperazione, grido, patibolo… ma anche “condizione”, perché ciò che è “carne” muoia per un abbraccio universale di salvezza.
O mia croce nuda, scalpello del Padre passato da mano a mano per realizzare su questo povero tronco il capolavoro della passione, ti prendo sulle mie spalle perché so che qualcuno ti porta con me ogni giorno.
Padre Fiorenzo Viviani
Fiorenzo Viviani, Camminando con Gesù, Padova 1982, p. 32-34
Nessun commento:
Posta un commento
"Padre, fa' che riconosciamo la dignità di tutti gli uomini, che Cristo ha redenti a prezzo del suo sangue, e rispettiamo la libertà di coscienza dei nostri fratelli".
(Dal Breviario della Chiesa Cattolica)