Pellegrini nel Tempo si occuperà anche di Escatologia, e più propriamente di quella cristiana, affrontando quei temi genericamente raccolti dalla tradizione nella formula dei quattro “novissimi” (dal latino novissima, “le cose estreme”): morte, giudizio, inferno e paradiso. Una riflessione teologica sul futuro dell’uomo e del mondo, sulle realtà ultime. Il termine “escatologia”, che deriva dal greco, significa appunto “discorso sulle ultime cose”. Il nostro approccio non seguirà, tuttavia, la prospettiva della teologia dogmatica. Quest’ultima si è sviluppata storicamente come riflessione critica sulla fede prevalentemente in dipendenza del pensiero filosofico dominante in un determinato tempo. Noi proveremo, invece, ad accompagnarvi lungo i “sentieri” della teologia mistica. Approfondiremo, cioè, gli scritti di quei grandi mistici cristiani che non hanno elaborato una trattazione teorica delle verità di fede, ma hanno prevalentemente descritto ciò che avevano vissuto dentro di sé, nel tentativo di rappresentare quelle esperienze interiori profonde e indicibili, capaci di ampliare il nostro orizzonte sulla “visione delle cose ultime”.
Il termine “mistica” venne introdotto nel linguaggio cristiano per indicare la misteriosa comunione con Dio che causa nell’orante una speciale conoscenza. Intendiamoci, il mistico non conosce nulla che il teologo non possa conoscere con la sua indagine speculativa, tuttavia egli ha dei “misteri” una conoscenza più intima e profonda; percepisce il senso del “mistero”, cioè dell’infinita trascendenza di Dio, nonostante rimanga ancora entro il velo della fede, anche se rarefatto e luminoso dopo le terribili “notti” che ha dovuto attraversare. La sua più profonda conoscenza dei “misteri divini” è il frutto di una particolare esperienza di Dio: la percezione, cioè, quasi sperimentale di Dio Presente, mentre le altre conoscenze dei “misteri divini” si hanno attraverso la mediazione dei concetti.
“La ragione, infine, per cui il mistico ha un contatto e un gusto spirituale di Dio che gli altri non possono avere, dipende dal fatto che Dio stesso infonde nell’anima una speciale mozione, mediante la quale la sua volontà viene a Lui intimamente unita e l’intelletto illuminato e reso capace di percepirne l’ineffabile presenza. Da qui l’ultima nota della vita mistica: si tratta, cioè, di un’esperienza infusa, nella quale l’anima si sente passiva sotto la mozione speciale dello Spirito Santo” (Ermanno Ancilli).
La rivalutazione della mistica in chiave escatologica ha avuto diversi e autorevoli sostenitori in epoca moderna, e fra questi ricordiamo Henri de Lubac e Hans Urs von Balthasar. Ciò è avvenuto in un’epoca in cui la sviluppo della riflessione teologica sulle “cose ultime” si rendeva necessario per corrispondere alle esigenze di una cultura sempre più rivolta al futuro e bisognosa di validi e rinnovati motivi di speranza. D’altra parte, “il teologo ha sperimentato sempre più acutamente l’insufficienza delle sue proposte e, più in profondità, l’inadeguatezza del suo impianto culturale. Ha costatato che l’annuncio di Cristo morto e risorto non offriva contenuti sufficienti per descrivere anche in modo solo approssimativo, l’esistenza definitiva dell’uomo. Ha dovuto ammettere che anche i modelli tradizionali di antropologia, così almeno come la neo-scolastica li aveva riformulati, non permettevano un discorso coerente sulla morte, la sopravvivenza, l’esistenza ultraterrena” (Johann Auer – Joseph Ratzinger). Tale crisi non solo ha sollecitato lo sviluppo, talvolta tumultuoso, dell’Escatologia, ma ha favorito il recupero e la valorizzazione di quei testi mistici della tradizione cristiana che, per troppo tempo, erano stati collocati ai margini della riflessione teologica. Uno straordinario patrimonio di “conoscenze sacre” capaci di orientare in modo speciale la speranza degli uomini verso la luce gloriosa del Risorto.
Su queste pagine, ripercorreremo insieme a voi questa affascinante avventura dello spirito, cercando di rendere accessibile a molti quanto è rimasto a lungo patrimonio di pochi.