Un brano tratto da La nube della non-conoscenza, opera di un anonimo scrittore inglese del sec. XIV.
“Ma ora mi interroghi e dici: «Come faccio a pensare a Dio in se stesso, e che cos’è Dio?» In verità non posso risponderti che a questo modo: «Non ne so niente».
Con questa domanda tu mi hai proprio buttato in quella oscurità e in quella stessa nube della non-conoscenza in cui vorrei che ti trovassi tu. Infatti, di tutte le creature e delle loro opere – si, certo, anche delle opere di Dio stesso – un uomo può benissimo avere una piena conoscenza per mezzo della grazia e su esse fare delle meditazioni; ma su Dio com’è in se stesso nessuno può fare delle meditazioni. Per questo lascerò da parte tutto ciò che posso pensare e sceglierò per il mio amore quella cosa che non posso pensare. Perché? Perché Dio lo si può amare, ma non pensare: solo con l’amore lo si può afferrare e trattenere, non certo con il pensiero.
Perciò anche se è bene talvolta pensare in particolare alla bontà e alla perfezione di Dio, e per quanto questo possa rivelarsi illuminante e costituire una parte della contemplazione stessa, tuttavia nel nostro lavoro tutto ciò deve essere ricacciato in basso e ricoperto da una nube d’oblio. E tu devi camminarvi sopra con vigore e con zelo, sotto la spinta di un devoto e gioioso slancio d’amore, nell’intento di perforare quell’oscurità che ti sovrasta. Colpisci dunque questa fitta nube della non-conoscenza con la freccia acuminata del desiderio d’amore e non muoverti di lì, qualunque cosa capiti”.