Una mirabile scultura della cattedrale di Chartres raffigura Adamo, col busto appena accennato, che emerge dalla terra madre, plasmato dalle mani di Dio. Già il volto del primo uomo riproduce i tratti del suo modellatore. È una parabola scolpita nella pietra, che traduce ai nostri occhi in maniera tanto semplice quanto espressiva le misteriose parole del libro della Genesi: «Dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza».
La tradizione cristiana non ha smesso, fin dalle sue origini, di commentare questo versetto. Vi ha riconosciuto il nostro primo titolo di nobiltà, il fondamento della nostra grandezza. Ragione, libertà, immortalità, dominio sulla natura: sono tutte prerogative divine della loro sorgente, che Dio comunica alla sua creatura e fa risplendere sul suo volto. Ciascuna di queste prerogative, che sin dall’inizio costituiscono l’uomo a immagine di Dio, deve poi sbocciare fino a completare in lui la divina somiglianza. In tal modo esse aprono all’uomo il destino più sublime.
«Conosci dunque te stesso, uomo!». Questo è il grido che, per bocca dei suoi dottori e dei suoi apologeti, la Chiesa dei primi secoli lancia ovunque intorno a sé. Riprende, dopo Epitteto, il gnothi seauton socratico, lo trasforma e lo approfondisce. Quello che per l’antico sapiente era soprattutto un consiglio di attenzione morale, essa lo fa diventare un richiamo a una valutazione metafisica. Conosciti, essa dice, vale a dire conosci la tua nobiltà e la tua dignità, comprendi la grandezza del tuo essere e della tua vocazione, di quella vocazione che costituisce il tuo essere. Sappi vedere in te lo spirito, riverbero di Dio, fatto per Dio. « [Anima,] tu devi fare attenzione a te stessa; questo è, infatti, il modo più sicuro per conservare le cose buone: sappi quanto tu sei stata onorata dal Creatore al di sopra del resto della creazione… Nessuna cosa che esiste è così grande da essere commisurata alla tua grandezza ». Qualche filosofo ti ha detto che eri un « microcosmo », piccolo mondo fatto dagli stessi elementi, dotato della stessa struttura, sottomesso agli stessi ritmi del grande universo; ti hanno spiegato che eri fatta a sua immagine e che subivi le sue leggi; hanno fatto di te la rotella di un ingranaggio, tutt’al più una macchina cosmica in miniatura. Non si sbagliavano del tutto. Per il tuo corpo e per tutto quello che in te può essere detto « natura », questo è vero. Ma se vai più a fondo e se la tua riflessione è illuminata dalle indicazioni dei libri sacri, allora ti meraviglierai delle profondità che si apriranno in te. Davanti al tuo sguardo si apriranno spazi incommensurabili. Ti accorgerai presto che, in una sorta di infinitezza, tu trascendi da ogni parte quel grande mondo e che in realtà è lui, il « macrocosmo », ad essere contenuto in questo apparente « microcosmo »… In parvo magnus. Si potrebbe pensare che il paradosso sia preso da qualcuno dei nostri idealisti moderni. Niente affatto. Formulato da Origene, poi da San Gregorio di Nazianzo, viene in seguito ripetuto da molti altri. San Tommaso d’Aquino ne darà una spiegazione simile, quando dirà che l’anima è nel mondo « continens magis quam contenta », e lo ritroveremo ancora sulla bocca di Bossuet.
Senza dubbio, l’uomo è fatto di polvere e di fango – noi oggi diremmo in altre parole che egli esce dall’animalità. La Chiesa non lo dimentica, dato che ciò è attestato nella stessa pagina della Genesi. Senza dubbio l’uomo è per di più peccatore, e la Chiesa non cessa di ricordarglielo. La stima che essa vuole inculcargli di se stesso non deriva da una visione superficiale e ingenua. Come Cristo, essa sa « quello che c’è nell’uomo »… Ma sa anche che questa umiltà delle sue origini carnali non impedisce affatto la sublimità della sua vocazione, e tutte le tare che possono derivare dal peccato non impediscono affatto che questa vocazione si mantenga viva e sia principio di una grandezza inalienabile; anzi, essa pensa che quest’ultima debba manifestarsi fin nelle condizioni della vita presente, come una fonte di libertà e come principio di progresso, una necessaria rivincita sulle forze del male. La Chiesa infine riconosce nel mistero di Dio fatto uomo la garanzia della nostra vocazione e la consacrazione della nostra grandezza. Così essa può celebrare ogni giorno nella sua liturgia «la dignità della natura umana», prima ancora di elevarsi fino alla contemplazione della nuova nascita…
Henri de Lubac
Henri de Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo, Jaca Book, Milano 1992, pp. 19 -21.