(Lc 23,53)
Compianto sul Cristo morto, Sinai |
Ora che il temporale ha disperso gli spettatori di una tragedia inconsueta, ora che ognuno è rientrato nelle propria routine, un mesto corteo di intimi, disfatti dall’angoscia, dal dubbio, dalla sconfitta, trasporta alla sepoltura l’amore cadavere.
Lavato, profumato, imbalsamato perché non si corrompa; ora non ha che il volto di un sudario bianco come una pagina vuota.
Era Gesù. Si era detto Messia. Aveva fatto del bene; parlato come nessuno lo aveva fatto mai; amato come nessuno; sferzato come nessuno; lottato come nessuno; sofferto come nessuno; ma ora… come tutti finito.
La rigidità della morte; una pietra ad ostruire la tomba ed il silenzio; una madre che piange come solo le madri sanno fare per la morte del figlio; il suo unico figlio; l’Amico e gli amici…
Sarà il tempo a lenire la perdita orribile che ha rubato, in un attimo, e cuore e anima e fede. La vita è così! Col ritorno del sole, di domani o d’estate, anche il volto, che ora è impresso nel cuore con i suoi occhi dolcissimi e vivi, quel suo andare deciso e sicuro, il sorriso profondo e totale… sarà solo un ricordo sempre più nebuloso e irreale. È finita!
Le guardie? Temono uno scherzo, un imbroglio. C’è ben altro nel cuore! Non si scherza quando il cuore è morente, non si imbroglia quando tutto è ormai morto.
Al di là di quel masso, sulla pietra, giacciono tutti i tesori, i motivi di vita: mescolati agli aromi, la virtù, la bontà, la giustizia, l’amore. Al di qua? La tragedia è diventata commedia. Ognuno ha ripreso a cantare la canzone bugiarda della vita, a fingersi onesto, giusto, libero, mentre nel cuore sente che la libertà è chiusa con sigilli in quel sepolcro, che guardie pagane e prezzolate custodiranno forse per sempre.
Gesù, amico fedele, quel masso mi opprime. È la parola “fine” che uccide la speranza.
Ci sono momenti in cui anche la croce non pesa più: i chiodi hanno cessato di giocare nei nervi la ridda del dolore ed un torpore totale funereo invade tutto: corpo e anima. Nulla ha più senso, come se la vita, la gioia, fossero al di là del masso del fallimento. Immobile nella propria nudità lacerata, nel buio profumato di pietà, l’attesa è solo fede, la vita è desiderio, l’amore sembra utopia… Ho paura!
Mi hai creato per la luce e mi lasci nel buio, mi hai dato la vita e mi trovo cadavere, mi hai dato un cuore per cantare ed è annegato nel pianto, mi hai posto nell’Eden a danzare la gioia vestita di cielo; e bendato, immobile giaccio sulla terra fredda…
C’è un sigillo infuocato su tutto ed ha un nome orribile: colpa.
Capolavoro fallito, con i segni spietati di un’opera devastatrice che ha per figlia la morte.
Eppure, mio Gesù, io amo quest’antro dai silenzi eloquenti, in cui tutto è essenziale, vero, dove il “seme” marcisce ed esplode in spighe di pane.
La tua morte ha iniettato nel solco delle piaghe che la colpa mi ha inferto germi nuovi di vita, note dolci di canti beati… Verrà il sole e un tripudio di gemme, di fiori, di frutti, dopo il buio della carne ferita irrorata di pianto.
O Gesù, rivestimi del candido lino che ti avvolse sepolto e così io rimanga fintanto che scompaia il mio “io” e il tuo volto sia leggibile in me: Non sia più io che viva, ma tu.
Padre Fiorenzo Viviani
Fiorenzo Viviani, Camminando con Gesù, Padova 1982, p. 60-62
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(Dal Breviario della Chiesa Cattolica)