Un "capolavoro di Dio" che ha guardato con gli occhi estasiati di un bimbo “quanto è buono il mio Signore”, e ora contempla il suo Volto e canta in eterno il "dono".
Dopo i giorni della Pasqua di Resurrezione, il 13 aprile alle ore 2.00 a Lucca, il suo cuore ha ballato di gioia l’ultimo ritmo terreno, ed ora vive nella luce di Dio, dove canta senza fine la bontà del Signore. Padre Fiorenzo Viviani, lucchese di nascita, l’ho conosciuto negli anni settanta a Fiumara di Muro, alle pendici dell’Aspromonte, in Calabria. Monaco contemplativo, è vissuto per un lungo periodo in quel angolo remoto di mondo, in un ex convento di cappuccini, che aveva trasformato in un Eremo, una casa di preghiera e di ritiro assai frequentata da gruppi giovanili, religiosi, uomini e donne alla ricerca di sé stessi e di Dio. Ero nella sua cella per un colloquio spirituale la notte del 6 agosto 1978, quando fummo interrotti da una telefonata. Un amico gli comunicava la morte del Santo Padre Paolo VI, che aveva conosciuto come vescovo della chiesa ambrosiana quando “operava” a Milano, prima di migrare in Calabria… Lo amava molto e, alla notizia della sua morte, la prima reazione fu un sussulto di gioia: il Santo Padre aveva terminato la sua corsa verso il Volto di Dio… Passammo la notte a pregare per lui nel “deserto” dell’Eremo… e arrivarono anche le lacrime, ed erano lacrime di commozione e di gratitudine per il grande dono che la Chiesa aveva ricevuto nella persona di quel Padre veramente “Santo”. Sono le stesse lacrime che piango ora, mentre apprendo la notizia della morte di Fiorenzo… E rendo grazie al Signore per il dono di un "Santo" che ci ha insegnato a contemplare la tenerezza del Volto misericordioso di Dio… Alleluia!
TESTAMENTO
di Padre Fiorenzo Viviani
(testo del 1983)
(Abbozzo di testamento nel caso che… arrivasse come un ladro e non riuscissimo, né io né te, a finire il libro).
Vorrei lasciare un messaggio di gioia, vorrei cantare la vita, mentre attendo con Cristo “sorella morte”.
“Canterò in eterno la bontà di del Signore”.
L’ho cantata ogni giorno, cogliendone i “segni” di mano in mano che la luce di Cristo penetrava tutto il mio mondo.
Ho guardato con gli occhi estasiati di un bimbo “quanto è buono il mio Signore”.
Ora che sto per calare nella terra a marcire, voglio cantare con la gioia di un seme fecondato dallo Spirito:
“Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi”
Davanti al volto di Dio, che presto vedrò, voglio cantare il mio credo.
Credo che Dio mi ha amato fin dall’eternità, mi ha pensato, mi ha desiderato, mi ha voluto, mi ha tessuto nel seno di mia madre e mi ha donato una vita stupenda da giocare alla ricerca del suo volto.
Ed è verso quel volto che io corro.
Mi ha tratto dal fango e dal fango ho provato, nel tempo, schifo, amarezza, nausea, grido.
È sul mio fango che si è posato lo sguardo di Dio, e l’Amore ha accolto il mio grido e si è chinato fino al mio abisso, così che ho potuto contemplare nel Cristo fratello, piagato per me, il Volto di Dio.
Solo così ho potuto amare lo stesso mio fango, perché amato da Dio.
Nessuno ha peccato quanto me.
La debolezza della mia carne mi ha inflitto ferite terribili, mai risanate, ma non ho mai fatto pace con il peccato.
E quando il peccato è diventato il “bulino” di Dio per la mia anima, ho pianto e camminato nella pace, sapendo che per “coloro che amano Dio, tutto coopera in bene”; anche il peccato.
Ho provato la tentazione di negare l’amore di Dio, quando mi è sembrato sordo al mio grido, ma è stato meraviglioso capire che il suo cuore è più grande del nostro peccato e che di “grazia” voleva saziarmi, perché annunziassi senza fine la sua misericordia ai fratelli.
La fragilità della mia carne era scelta da Dio, perché in me tutto cantasse la sua bontà.
Ho portato le conseguenze del mio peccato incise nella mia carne come la croce di ogni giorno, perché sofferta e offerta. Per questo ringrazio Dio di ogni mia caduta.
Con la mia chitarra scordata, dalle corde rabberciate, Lui ha saputo trarre, con mano d’artista, note meravigliose.
Ho sempre atteso che Dio compisse la sua opera col fuoco dello Spirito.
Ho resistito, ho pianto, ma ho voluto abbandonarmi sempre più come fango in mano al vasaio. Così, la mia vita è diventata danza.
Sempre più liberato, mi sono trovato nudo, ma sempre più capace di amare tutto e tutti.
Mentre Dio frantumava il mio cuore, mi donava il suo, dalle vibrazioni infinite, dolcissime e tremende.
Purificato da molte lacrime, ho conosciuto la disperazione e la speranza. E Dio ha dato capacità al mio cuore di dilatare le sue pareti fino a sintonizzare, nella gioia e nel dolore, con quanti bussano alla mia porta.
Ho nuotato, come un bambino, nel liquido amniotico dell’Amore trinitario: nutrito, vezzeggiato, amato, ed ho cantato: “Dio mi ama” per tutta la vita, con un solo desiderio: nascere e vedere il volto di Dio.
Ed ora che, sia pure nel travaglio di un parto doloroso, si avvicina il momento in cui vedrò il volto di Dio, sento il cuore ballare di gioia l’ultimo suo ritmo terreno.
“Canterò senza fine la bontà del Signore”.
Canterò il “dono”.
Per me tutto è stato un meraviglioso dono.
Dono l’immane fatica dello Spirito per svuotarmi di un “io” carnale e riempirmi d’amore, che è già paradiso. Sono felice, perché ho creduto al dono…
Padre Fiorenzo Viviani
Fiorenzo Viviani, Dio ama anche me, Padova 1983, p. 7 - 9